«La cultura aziendale non si impone: si respira». Intervista a Babila Bruni, Cluster Director People & Culture Mandarin Oriental

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«La cultura aziendale non si impone: si respira». Intervista a Babila Bruni, Cluster Director People & Culture Mandarin Oriental

«Creare la cultura è qualcosa che richiede tempo. È qualcosa che richiede anche degli esempi», dice Babila Bruni, Cluster Director People & Culture di Mandarin Oriental, Milano e Como. Una frase semplice, ma potente, che riassume il cuore di un lavoro invisibile: quello che rende un hotel non solo efficiente, ma “vivo”.

Quando parliamo di cultura aziendale, spesso ci immaginiamo manuali, slogan, lavagne piene di post-it. Ma per chi guida un team ogni giorno, come Babila, «tutto il management deve essere allineato rispetto ai valori e alla visione dell’azienda… dando l’esempio».

Il turnover è inevitabile?

Lo chiediamo a chi da anni seleziona e accompagna nella crescita decine di professionisti: «Il turnover è un problema generalizzato. Dopo la pandemia sono mutati molto i parametri con cui si interpreta la propria vita, sia professionale che privata».
Non è un problema solo italiano. È un’onda lunga che riguarda le nuove generazioni, i loro desideri e il modo in cui valutano le opportunità.

«Molti giovani oggi, anche dopo una crescita professionale, decidono di cambiare completamente strada e lasciare l’hospitality». Ecco perché retention e recruiting diventano due lati della stessa, difficile medaglia.

Come si trattiene il talento?

«Più che il fattore economico, che certamente incide, c’è anche un discorso di progetto lavorativo. Di crescita. Di clima».
Il Mandarin, per esempio, offre benefit mirati: «diamo l’abbonamento annuale per tutti i mezzi pubblici ai nostri colleghi. Un gesto concreto, che unisce sostenibilità e benessere personale».

Ma non basta pagare bene o offrire vantaggi. Bisogna condividere dei valori. «La Bocconi ha dimostrato che le nuove generazioni scelgono aziende che credono veramente nella diversity, nella sostenibilità, nella formazione».

Come si seleziona il candidato giusto?

La risposta, sorprendentemente, non è tecnica. «Sempre più, gli aspetti tecnici sono quelli che contano meno. Al netto della lingua inglese, ovviamente. Quello che cerchiamo è la passione. L’empatia. La disponibilità al sacrificio».
E poi c’è l’atteggiamento. «Durante l’intervista chiediamo se il candidato conosce la storia del nostro gruppo, i suoi valori. È una misura concreta di quanto quel candidato sia allineato alla nostra visione».

E se una volta era il candidato a fare il primo passo, oggi... «molti non fanno nemmeno application. Si aspettano che sia tu a cercarli, a contattarli su LinkedIn. È cambiato tutto».

Meglio cercare fuori o coltivare dentro?

«Abbiamo una percentuale di ricerca esterna per figure apicali che è praticamente bassissima», dice con orgoglio.
La politica è chiara: prima si cerca in casa. «Anche se manca ancora uno step, se vediamo il potenziale in un collaboratore interno, si investe su di lui. E questo rafforza anche la retention».

E il clima? Fa davvero la differenza?

Quando qualcuno entra al Mandarin dice: “Ma qui si respira un’atmosfera diversa”. Non è solo questione di formazione, di leadership gentile, o di protocolli ben scritti. È l’insieme. È il modo in cui ci si sente guardati, ascoltati, rispettati.

Anche l’intelligenza emotiva oggi è misurata. Negli ultimi audit, uno dei criteri è proprio questo: quanto sei stato empatico con l’ospite, quanto sei riuscito a farlo sentire a casa.

Che ruolo avranno le persone, nel futuro degli hotel?

L’intelligenza artificiale, la domotica, i robot: non sono più futuro, sono già qui. Ma per Babila Bruni, non c’è confronto. «Il contributo delle persone, la loro capacità di creare esperienza e relazione, è insostituibile. La tecnologia ci aiuterà, ma l’anima la danno le persone».

Cosa resta, alla fine?

«La più grande soddisfazione? Quando un collega, anni dopo, ti scrive e ti chiede consiglio prima di prendere una decisione. Perché si fida. Perché sa che tu ci sei».
È questo il valore umano che resta, anche dopo una carriera spesa tra report, turni, budget e aperture. È questa la vera eredità di chi lavora con passione.

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