Sai perchè negli alberghi grandi ci sono più casi di furti in camera, errori e contestazioni di addebiti sul conto?

Sai perchè negli alberghi grandi ci sono più casi di furti in camera, errori e contestazioni di addebiti sul conto?
Non è solo questione di numeri e probabilità.
Ti spiego subito.
Albergo 4 stelle, catena Barceló, circa 200 camere, sala colazione nella hall, facilmente raggiungibile anche da un “esterno”.
Scendo ancora intontito (fatto check-in a mezzanotte) e dimentico il numero di stanza.
Cartoncino lasciato in camera, sulla tessera non è indicato.
Avviso il cameriere dicendo quello che mi pare essere il numero...
Si allontana un attimo, verifica sul computer, torna da me e chiede (da tre metri)
“Signor Montanari?!”
Si.
Ora, posto che in questo caso io sono veramente il Signor Montanari, questo piccolo errore di superficialità dell’addetto può causare una serie di danni facilmente evitabili.
⛔️⛔️⛔️⛔️
Vediamo insieme le casistiche?
- 1) Non sono il Signor Montanari, sono un esterno che “ci ha provato” e ho scroccato una colazione. Improbabile ma c'é chi si diverte a fare il pirla. Città grande, albergo grande, tante persone, probabilità più alte.
Danno? Una colazione regalata e un disagio per quando scende il VERO signor Montanari che risulta già smarcato e pensa giustamente che siete degli improvvisati.
- 2) Non sono il Signor Montanari, sono cliente di un altra stanza. Ho sbagliato, o fatto il furbo.
Danno? Una colazione regalata, solito disagio di cui sopra per il signor Montanari
- 3) Non sono il signor Montanari, sono un ladro.
A questo punto conosco la combinazione nome-numero di camera, vado al ricevimento e mi faccio fare un duplicato della chiave.
Mi apposto, aspetto che il cliente esca, rubo un MacBook e un Ipad. (Sono un ladro, è il mio “lavoro”, mi comporto cosi).
Danno? Furto subito, scarico assicurazione, Signor Montanari perso per sempre.
Procedura corretta: cliente non ricorda il numero di camera, cameriere chiede conferma nome e cognome.
Stessa cosa in caso di richiesta duplicato chiave al ricevimento.
Procedura Sheraton?
- Cliente non ricorda numero di camera o chiede duplicato chiave.
- Addetto chiede nome, cognome, DATA DI NASCITA.
Semplice, veloce, professionale, praticamente INFALLIBILE.
E tu? Hai una procedura a prova di errore e hai formato correttamente TUTTI i membri del tuo staff?
Quante probabilità ci sono che una cosa del genere accada nel tuo hotel?
P.S. i taglieri di legno sono bellissimi 😉 Stefano Zannoni
Servizi correlati
Articoli correlati

Park Hyatt Milano: il segreto dietro il successo dell’hotel di lusso più iconico della città
Simone Giorgi, il Direttore dell’anno che ha cambiato le regole del lusso a Milano
Certe carriere non nascono per caso. A volte cominciano con una passione innocente, una scintilla che, guardandola a distanza, sembra quasi inevitabile. Nel caso di Simone Giorgi, Direttore del Park Hyatt Milano e fresco vincitore del prestigioso premio internazionale Hotelier of the Year assegnato dal network Virtuoso, tutto è partito dal bar.
Già da ragazzo, infatti, Simone era affascinato dal mondo degli alcolici e dalla ristorazione, tanto da iscriversi all’alberghiero e ritrovarsi, giovanissimo, a lavorare all’Enoteca Pinchiorri di Firenze, allora due stelle Michelin (oggi tre). Ma il vero colpo di fulmine arrivò davanti alla TV, guardando Love Boat: eleganza, ambienti raffinati, ospiti impeccabili. Da quel momento, il mondo dell’hôtellerie di lusso divenne la sua missione.
Dall’etichetta rigida al lusso accessibile
Con oltre 40 anni di carriera, Simone Giorgi è testimone diretto dell’evoluzione del settore. «Una volta il lusso era riservato a poche famiglie facoltose, con comportamenti ben codificati. Chi non apparteneva a quell’élite si sentiva fuori luogo», racconta. Oggi, invece, il lusso è più accessibile, non tanto dal punto di vista economico, quanto culturale. Social media, viaggi e maggiore apertura mentale hanno reso certi ambienti più inclusivi.
Questo cambiamento si riflette anche nell’abbigliamento: se un tempo la giacca e la cravatta erano obbligatorie per accedere ai ristoranti di alto livello, oggi si punta più sull’atteggiamento che sull'outfit. «L’abito non fa più il monaco, e chi lavora in hotel deve saper riconoscere il vero valore di chi ha di fronte, senza lasciarsi ingannare dalle apparenze», sottolinea Giorgi.
Un hotel da record a Milano
I numeri del Park Hyatt Milano parlano chiaro: occupazione media oltre il 90% e tariffe che superano i 1.200 euro a notte, con un RevPAR che lo posiziona al primo posto in città. Il segreto? Un mix di ristrutturazione profonda (oltre 30 milioni di euro di investimento) e una strategia mirata sul posizionamento di prodotto, più che sul semplice incremento dei volumi.
Milano, con la sua trasformazione post-Expo, è diventata una delle capitali europee del lusso e il Park Hyatt si distingue puntando su un elemento spesso sottovalutato: il team. «La nostra forza è la personalizzazione del servizio e la stabilità dello staff. Il turnover è basso, e questo garantisce continuità e qualità», spiega Giorgi.
Il valore del capitale umano
Oggi il Park Hyatt Milano vanta un rapporto di oltre 2,2 dipendenti per camera, ben sopra la media, segno di un’attenzione maniacale al servizio. «Investire sulle persone è la chiave. Nelle selezioni, il valore umano conta più del curriculum. Cerchiamo persone gentili, collaborative, con voglia di crescere. Le competenze tecniche si imparano, ma l’attitudine no», afferma.
Il risultato è un clima di lavoro sano, dove ogni traguardo viene vissuto come un successo collettivo. Lo dimostra il riconoscimento di Virtuoso, vissuto non come un premio individuale ma come il risultato di un impegno corale.
Guardare avanti: giovani e futuro dell’hôtellerie
Nonostante i traguardi raggiunti, Simone Giorgi guarda al futuro con lucidità. «Siamo tutti responsabili nel trasmettere ai giovani ciò che abbiamo imparato. È il momento di restituire. I ragazzi di oggi sono brillanti e veloci, ma hanno bisogno di fiducia e di essere guidati. Un vero leader crea altri leader», conclude.
Ed è questo il messaggio più potente per chi lavora nell’ospitalità oggi: il vero lusso, forse, è proprio investire sulle persone.

Proprietà e gestione: divisione tra eredi
Dato che ultimamente mi capita almeno una volta a settimana di affrontare i problemi derivanti dalla questione “eredità”, ho deciso di condividere la mia esperienza nella speranza possa essere utile a qualcuno.
Nella fattispecie, la situazione in assoluto più complessa si verifica quando diversi eredi, che hanno fatto scelte di vita diverse, risultano essere ugualmente soci di una società a cui fanno capo sia la proprietà dell’immobile, sia la gestione alberghiera.
Per prima cosa fughiamo ogni dubbio: tolte le questioni emotive, questa soluzione a lungo termine è assolutamente insostenibile, sia per questioni di responsabilità, che di merito.
Infatti, se da una parte l’albergo può essere considerato alla stregua di una qualunque proprietà immobiliare da dividere equamente, dall’altra è a tutti gli effetti un’AZIENDA da gestire secondo determinati criteri di merito.
La faccio più semplice.
Se ci sono tre fratelli (o due fratelli e un coniuge), ma SOLO UNO gestisce di fatto l’azienda, la cosa giusta da fare è SEPARARE la proprietà dell’immobile dalla gestione alberghiera.
In pratica, l’unico erede che gestisce crea una società di gestione (preferibilmente una S.r.l.) capace di prendere in affitto l’azienda alberghiera, riconoscendo poi alla società proprietaria dell’immobile un canone di mercato (eventualmente al netto di quanto gli spetta per le sue quote dell’immobile).
Esempio: se sul mercato un hotel vale €200.000 di canone, chi lo gestisce crea una società di gestione con la quale paga il canone alla società che detiene l’immobile.
Nel caso in cui, ipoteticamente, fosse proprietario di 1/3 dell’immobile, potrebbe riconoscere un canone pari a €133.000 (200/3*2).
In questo modo il gestore sarebbe totalmente autonomo nelle scelte operative: cambiare o non cambiare le tv, assumere o non assumere il cugino, investire o dividere gli utili.
Allo stesso tempo, gli altri soci percepirebbero una rendita nella forma di canone sufficiente per far fronte al pagamento di IMU e manutenzioni straordinarie.
Se, invece, il canone fosse pagato per intero a causa di rate pregresse particolarmente impegnative, sarebbe doveroso inserire all’interno dello stesso una quota % da destinare al mantenimento dello standard.
A tal proposito, nei contratti di management internazionali, esiste un’apposita clausola definita FF&E (Furniture, Fixture & Equipment) che regola gli standard in termini di impianti, mobili, arredi e attrezzature.
In questo modo una quota del canone viene accantonata ogni anno con lo scopo di creare una riserva finalizzata al mantenimento della competitività della struttura. Il tutto senza creare una ogni volta dispute sulle singole scelte.
In assenza di questo tipo di accordi, la “coabitazione” forzata crea una trafila infinita di fastidi da entrambe le parti che finiscono con il logorare i rapporti fino a trasformarsi in vere e proprie guerre di successione.
Chi non gestisce, infatti, non vorrà mai cambiare il forno “perché quello che abbiamo funziona benissimo”, mentre chi gestisce finirà per accumulare un fastidio inguaribile nei confronti dei fratelli che “in estate vanno al mare mentre io sto qui a spaccarmi la schiena”.
Ovviamente la questione è delicata e va affrontata con il massimo della sensibilità facendosi supportare da professionisti super-partes ma, nel grosso… la soluzione è tutta in questo post.
Ogni tentativo di gestirla in modalità “fatebenefratelli”, per quanto animato da buona fede iniziale, si tramuterà in una faida che finirà per rovinare affari e famiglia.
Poi non dite che non vi avevo avvisato.

Procedure e delega: liberati dal senso di colpa e fai crescere il tuo hotel!
Nella terza Masterclass 2023 abbiamo fatto il punto insieme a 70 albergatori per quanto riguarda lo staff e abbiamo rilevato qualche piccolo miglioramento rispetto al biennio appena trascorso.
Chiariamoci, i professionisti qualificati sono rari come l’acqua nel deserto, le persone continuano ad essere mediamente inaffidabili ma, se non altro, il numero di candidati che rispondono agli annunci cresce sensibilmente rispetto alla carestia assoluta del periodo Covid.
A fronte di tutto ciò, in un contesto dove i prezzi salgono e le prenotazioni continuano ad arrivare, la gestione dello staff ha decisamente scalato la classifica delle priorità per gli albergatori.
Come sempre ci tengo ad essere onesto, la situazione di partenza non è delle migliori…
La maggior parte degli hotel ancora non ha un organigramma, un po’ per scarsa attenzione al problema, un po’ perché la generazione precedente ha tramandato il modello del “tutti fanno tutto” che, se anni fa poteva ancora funzionare (per lo meno in strutture di piccole dimensioni), oggi, con il livello di responsabilità delle nuove generazioni di lavoratori, diventa assolutamente controproducente.
Ecco perché è importante che tutti i collaboratori abbiano chiari i ruoli e il flusso di comunicazione, in modo da sapere a chi rivolgersi quando si presenta un problema.
Sappiamo tutti che in hotel i problemi sono all’ordine del giorno e, se non si chiarisce il flusso di comunicazione, chiunque abbia un problema si rivolgerà direttamente a te, distraendoti da quelle che sono le tue vere priorità.
Altro aspetto fondamentale sono le procedure, ma da questo punto di vista siamo relativamente “fortunati”.
Infatti, per quanto l’hotel sia oggettivamente un sistema complesso, è costituito da 4 reparti principali con funzioni specifiche e complementari: ricevimento, housekeeping, sala, cucina.
Certo, in strutture di grandi dimensioni sono presenti manutentori, giardinieri, può esserci una spa, ma una volta definiti i ruoli e coordinati i 4 settori principali di cui sopra, la spina dorsale dell’organizzazione è fatta e, di conseguenza, gestire i flussi risulta sicuramente più semplice.
Nello specifico, durante i due giorni di Masterclass, abbiamo diviso la classe in gruppi, ognuno dei quali ha lavorato sulle procedure di uno dei 4 reparti, condividendo le diverse esperienze e realizzando una guida che presenta dei principi fondamentali che possiamo considerare uno standard, con le relative declinazioni in funzione delle tipicità strutturali e organizzative.
Come detto, da questo punto di vista andiamo leggermente meglio rispetto all’organigramma, nel senso che molti hotel partono con delle procedure di base che, però, sono solitamente troppo sintetiche o, al contrario, troppo elaborate.
Il problema sta nel fatto che, se le procedure sono troppo sintetiche, richiedono spiegazioni aggiuntive e continue interruzioni del flusso lavorativo. Se, invece, per ogni reparto si crea un vangelo di 30 pagine, il risultato è che il manuale viene letto (forse) il primo giorno di lavoro e poi finisce nel cruscotto della macchina o in un cassetto della scrivania.
Secondo la mia esperienza, il modello più funzionale è un manuale basato principalmente su elenchi puntati e numerati, “modello check-list”, che non superi le 3 pagine per reparto.
A questo, ovviamente, sarà possibile integrare una sezione di video brevi per procedure specifiche tipo: pulire la macchina del caffè, disinserire l’allarme antincendio, sbloccare la cassaforte, impostare il condizionatore.
Dopodiché arriva il momento dell’’applicazione e qui si apre un altro discorso infinito. Infatti, molto spesso, anche chi ha investito tempo per creare un organigramma e guide funzionali, alla prova sul campo risulta allergico alla delega.
Di seguito ti riporto lo schema tipo più diffuso che si ripete più o meno all’infinito:
- creo procedure;
- condivido procedure;
- si presenta un problema;
- un addetto prova a risolverlo (o dice di averci provato) senza riuscirci;
- viene a chiedere aiuto a me direttamente;
- intervengo per risolvere (“perché tanto questo non capisce e faccio prima a farlo che a spiegarlo”).
Ora, se pensi che il processo che ti ho presentato qui sopra sia un’eccezione, ti assicuro che ti sbagli. Te lo dice uno che incontra centinaia di albergatori all’anno e ne visita altrettanti di diversa dimensione e classificazione.
Proviamo a capire insieme i motivi di un malcostume che, più o meno inconsapevolmente, causa danni per decine di migliaia di euro (quando non sono centinaia) ad ogni albergatore che lo commette.
Il primo, per mia esperienza, è costituito dalla confusione nel distinguere urgenze e priorità. Facciamo quindi un breve ripasso.
Urgenza: un’attività che non è possibile rimandare perché richiede di essere risolta immediatamente.
Esempio: un tubo che perde, un condizionatore rotto in una giornata con 40 gradi all’ombra, un ospite che perde un bagaglio pochi minuti dopo l’arrivo.
Priorità: un’attività strategica, di primaria importanza, il cui svolgimento ha un impatto economico ed organizzativo determinante per la gestione dell’hotel.
Esempio: selezione e gestione delle persone, creazione di un piano marketing strategico, gestione dei prezzi, controllo di gestione, pianificazione fiscale.
Ora, nel caso servisse ricordarlo, nella mia famiglia siamo alla quarta generazione di albergatori e so perfettamente che gli esempi riportati nella categoria “urgenze” sono situazioni importanti da gestire con la massima attenzione.
La differenza sta nel fatto che, se sono io il gestore, delle urgenze devo occuparmene occasionalmente (2-3 volte l’anno, 1 volta al mese massimo), mentre delle priorità devo occuparmene personalmente sempre. Per lo meno fino a quando, se le dimensioni della struttura me lo consentono, non sono in grado di delegarle, almeno in parte, a qualcuno che sia altamente specializzato, ma che comunque dovrò affiancare prima e controllare poi.
Qual è il motivo di questa netta distinzione e assegnazione dei compiti?
Solitamente nei master di gestione aziendale si spiega il concetto di valore del tempo.
Esempio: se la mia azienda fattura €1.000.000 in 365 giorni di apertura e io sono responsabile dei risultati, una mia giornata di lavoro vale €2.700. Ora dividi il valore di una giornata per il numero di ore lavorate e trova il valore di una tua ora di lavoro.
Nel caso dell’esempio, se lavorassi 10 ore al giorno, il valore di una mia ora di lavoro sarebbe circa €270.
Capisci bene che se dedico una mia ora di lavoro a fare il manutentore per sbloccare una cassaforte, non sto facendo un impiego intelligente del mio tempo, specialmente se mentre lo faccio sto “rubando tempo” alle mie vere priorità come imprenditore. Per completare il discorso, se un manutentore o un collaboratore costano €15 l’ora per le attività a basso valore aggiunto, delegarle è una mia responsabilità nei confronti dell’azienda che dirigo.
Ora mi sembra già di sentirti…
“Eh, ma io conosco la casa da 30 anni, come lo faccio io non lo fa nessuno”.
Devi creare una procedura e aggiornarla fino a quando, leggendola, i tuoi collaboratori non riusciranno a svolgere la funzione in autonomia.
“Eh, ma io di ore ne faccio 16 quindi al massimo dormo meno, ma faccio tutto”.
Poi non lamentarti se quando passano i momenti di picco sei STREMATO, odi questo lavoro e non riesci più a relazionarti con i clienti. O, ancora peggio, inizi a pagare con la TUA SALUTE.
Riassunto, puoi occuparti dei lavori a basso valore aggiunto SOLO:
- dopo aver gestito le PRIORITA’;
- dopo aver creato delle procedure che permettano ad altri di svolgere quelle attività in tua assenza;
- se ti appagano personalmente e li consideri un hobby (tipo annaffiare le piante in giardino), MA SOLO DOPO AVER RISPETTATO I PUNTI PRECEDENTI.
“Però Gian Marco, il discorso sul valore del tempo lascia il tempo che trova perché anche i miei nonni fatturavano, ma trovavano comunque il tempo per riparare i lavandini, accompagnare i clienti in stazione, servire ai tavoli, etc.”.
Certo, chiaro, ma i tuoi nonni…
- Dovevano leggere e rispondere alle recensioni?
- Dovevano aggiornare le OTA?
- Dovevano gestire i prezzi dinamici?
- Dovevano occuparsi di creare, monitorare campagne di advertising e aggiornare i social network?
- Dovevano investire un budget per cercare il personale, pensare a piani incentivi, benefit e insegnare le basi dell’educazione ai membri dello staff?
- Dovevano configurare e gestire le decine di software che usi quotidianamente per svolgere le attività lavorative?
Te lo dico io… No che non lo facevano, perché lavoravano in un’altra epoca. Un’epoca sicuramente più difficile da un punto di sacrifici fisici, ma assolutamente privilegiata in termini di mercato.
Infatti, fino a 20 anni fa, in Italia gli hotel avevano “i clienti di cittadinanza”. L’unico ostacolo al raggiungimento del fatturato erano la pioggia al mare e la mancanza di neve in montagna, fine.
Ora capisci bene che, con il fatturato “praticamente garantito”, le uniche strategie che facevano davvero la differenza sulla marginalità erano:
- compra solo dai fornitori che costano meno per risparmiare;
- lavora più che puoi per risparmiare sui dipendenti.
In un contesto del genere era assolutamente normale, quasi doveroso, occuparsi di certe cose. Se non lo avessero fatto, di cos’altro si sarebbero dovuti occupare?
Non sto in nessun modo incentivando la nuova generazione di albergatori a trasformarsi in una categoria di colletti bianchi incapaci di avvitare una vite.
Al contrario, per fare l’albergatore serve un forte spirito di sacrificio e il senso pratico ha sempre fatto e sempre farà la differenza.
Per quanto formalmente gli hotel siano aziende di servizi, lavoriamo con “cose e persone”, quindi è obbligatorio mantenere un contatto diretto con la realtà. Questo, però, è un rischio davvero limitato perché la realtà ci sbatte in faccia il promemoria ogni girono.
Il problema caso mai è contrario.
La maggior parte degli albergatori, infatti, sono ancora giornalmente inghiottiti da attività manuali a bassissimo valore aggiunto.
Inoltre, seppur si dimostrino (a bocce ferme) perfettamente consapevoli di questo enorme limite organizzativo, ad un ogni apertura, puntualmente, ricadono nel tunnel dell’operatività.
Così, dal momento che ho troppa stima di certe persone per pensare che lo facciano “per distrazione”, ho investito parecchio tempo ad indagare per capire insieme a loro i veri motivi di questo reiterato malcostume.
E sai cosa è emerso dalle confessioni a microfoni spenti?
Che molto spesso la causa è il senso di colpa.
Quello che succede è che, pur studiando, aggiornandosi e comprendendo l’importanza di creare procedure, delegare e dedicarsi alle priorità imprenditoriali, c’è una vocina nel subconscio che li riporta sempre sulla vecchia strada.
La vocina dice più o meno così:
“Ma se i miei nonni/genitori, che hanno costruito l’hotel, per 30 anni si sono sempre sporcati le mani cucinando, servendo ai tavoli, facendo lavori di manutenzione etc., chi sono io per pensare di gestire l’hotel dalla scrivania dedicandomi solo ai numeri, alle persone e alle attività di concetto?”.
E attenzione, perché qualora non sentano la vocina nella propria testa, spesso ci pensano proprio i suddetti nonni/genitori a mettere in scena una reprimenda cantata in grado di sopprimere le velleità manageriali anche del più audace degli eredi.
“Bene”, sappi che non sei solo. Ora che hai preso coscienza del problema, portandolo dallo stato inconscio allo stato conscio, non puoi più permetterti di ignorarlo.
Devi, il prima possibile, fare un reset della tua impostazione mentale e installare un nuovo mindset perché, oggi, gli hotel che crescono sono quelli guidati da imprenditori, mentre gli albergatori che sono ancora invischiati nell’operatività perdono competitività ogni giorno.
L’eredità di chi ha fondato l’albergo non si onora facendo sacrifici inutili che portano solo a perdere lucidità e a farti odiare il mestiere.
Se vuoi imparare un metodo di comprovata efficacia che ti permetta di migliorare fatturato e margini del tuo hotel, consentendoti di vivere una vita che meriti di essere vissuta, rimani connesso.

Hotel familiare: la crisi del passaggio generazionale
Uno dei temi più complessi in assoluto legati alla gestione di un hotel familiare è sicuramente il passaggio generazionale.
A tal proposito, anche quest’anno diversi aspiranti imprenditori si sono rivolti a noi in cerca di supporto.
Ora, nella maggior parte dei casi si tratta di ragazzi educatissimi e assolutamente ben disposti a rispettare la famiglia e fare la propria parte per conquistarsi un ruolo nel tempo. A volte, invece, arrivano carichi di frustrazione perché “soffocati” da una gerarchia troppo stringente che impedisce loro di crescere gradualmente nel proprio percorso imprenditoriale.
Come detto, si tratta di una situazione difficile, ad alto carico emotivo, con conseguenze che possono letteralmente mandare al tappeto anche le realtà più strutturate (oltre alle persone che ne fanno parte).
Sarò più specifico: ho visto più hotel saltare per un mancato passaggio generazionale, che a causa di errori “tecnici”.
Partiamo quindi dalle basi per fare un po’ di chiarezza.
Imprenditori non si diventa per “discendenza”.
Non basta avere un padre o una madre albergatori, ereditare un immobile e una partita iva per acquisire la qualifica. Questo passaggio è tanto banale quanto controintuitivo perché le competenze si acquisiscono con la pratica, il tempo e gli errori.
Altra cosa importante da capire è che non si tratta solo di competenze tecniche come marketing, revenue e controllo di gestione poiché, in realtà, la singola competenza che un imprenditore di successo deve padroneggiare è quella di “prendere decisioni”. Qui la faccenda si complica perché, per imparare a prendere decisioni, serve “un muscolo” che si allena… Prendendole.
Proprio per questo tu non sarai un imprenditore finché non imparerai a misurarti con i risultati e le conseguenze delle tue decisioni, ma allo stesso tempo non imparerai mai se non te le lasciano prendere.
Come si risolve quindi? Bella domanda.
Partiamo dal dire come NON si risolve (perché purtroppo l’ho visto centinaia di volte).
Non si risolve trattando gli eredi come bambini fino ai loro 50 anni, impedendogli di sbagliare, imparare e guadagnare autostima.
Non si risolve, da parte di chi subentra, pensando di aver capito tutto prima di iniziare perché “i vecchi ormai sono bolliti”.
Mi dispiace dirvelo (è contro il mio interesse), ma davvero non basta aver partecipato a due corsi e aver letto due articoli on-line per avere tutte le risposte.
E’ molto più complicato di così. La transizione deve avvenire in maniera graduale.
Le nuove generazioni devono esplorare, studiare, imparare e portare nuove idee in casa, consapevoli di non poter cambiare con un click un metodo (giusto o sbagliato che sia) applicato da anni.
La vecchia guardia deve concedere uno spazio, un reparto, un ambito di competenza dove i giovani possono sperimentare e misurarsi con i risultati delle proprie scelte, senza compromettere l’andamento generale di un’azienda.
Tutto questo va fatto presto. Non si può rimandare il processo per decenni.
Le aziende, per essere proiettate nel futuro, hanno bisogno di nuova linfa, energie, coraggio e quel pizzico di incoscienza che, oltre ad una certa età, si riduce fisiologicamente. Purtroppo, invece, il continuo spirito di protezione genitoriale fa danni che a volte diventano irreversibili. Questo perché, se l’erede 50enne di un’attività che fattura qualche milione deve chiedere il permesso per un investimento di poche migliaia di euro, non svilupperà mai quell’autonomia decisionale necessaria per prendere il timone quando sarà obbligato a farlo.
Ecco perchè il “vecchio re”, per quanto animato dall’animal istinct che gli ha permesso di ottenere risultati negli anni, deve capire che arriva un momento in cui deve gradualmente defilarsi, interpretando il ruolo di prezioso consigliere, per vedere crescere l’azienda guidata da qualcuno che ne sviluppi il potenziale tramandandone i valori nel tempo.
Siamo qui per offrirti il supporto di cui hai bisogno, contattaci!
Clicca sul link qui sotto per inviarci una richiesta specifica sulle tue necessità.
Richiesta inviata correttamente!
Sarà nostra premura ricontattarti prima possibile.
È stato riscontrato un errore durante l'invio del messaggio. Riprova di nuovo.